mercoledì 3 aprile 2024

Amico mio Come farò a scrivere le prossime parole sapendo che non le ascolterai con le orecchie il cuore e l’anima con cui nelle mille sere hai ascoltato le mie e le nostre parole seduti intorno a un tavolo che tu sapevi trasformare in qualcosa di unico. E come farò a guardare strade e incroci ad assaporare i sapori del tramonto e la luminosità dell’estate sapendo che dovremo condividerle col silenzio della tua assenza: come farò, come faremo a illuderci e crederci che in qualche modo ti arriveranno per accompagnarti verso un campo sconosciuto dove ne sono sicuro, saprai trovare la tua strada senza perderti e magari raccogliere funghi meravigliosi e altre delizie da offrire agli ospiti. Incontrarti è stato un dono, una fortuna che capita poche volte nella vita. Incontro che si è trasformata un rapporto che si è allargato nel tempo fino a diventare qualcosa di molto più vicino all’essere fratelli e non solo amici. Vedersi, incontrarsi, condividere l’affetto e la stima reciproca non aveva bisogno di ricorrenze particolari, bastava una telefonata e un giorno qualunque diventava speciale perché non si condivideva solo del cibo quanto un affetto che nutriva di ben altre sostanze. Un dono che ci scambiava ogni volta mentre nel frattempo i figli crescevano con la voglia comune di vederli crescere e scambiarsi la felicità di condividere i momenti più belli e importanti della loro vita insieme alla nostra. La musica di Verdi adesso riempie la stanza. Non è una scelta casuale. Ascolto le parti del coro dove la tua voce di basso, si fonde con tenori soprani baritoni e contralti e diventa ora forza e potenza ora pianto e dolore, ma non la spengo, anzi alzo il volume perché so che tra queste voci perfette c’è anche la tua, lo so che c’è la tua perché c’ero quella sera che mi hai chiesto di registrare Macbeth e quando ti ho dato i files eri così contento, soddisfatto, onorato di averne fatto parte che non vedevi l’ora di montarle tutte insieme e conservarle. Sapevo con quanto cura avevi studiato la tua parte, con quel dedizione e passione ti ci eri cimentato tu che avevi con la musica un rapporto speciale che hanno in pochi. Cicci, o Pietro come molti ti conoscevano e col quale ti presentavi. I ricordi sono così vicini che affollano la mia testa e non saprei cosa scegliere, ma cosa posso dire che i tuoi amici, i conoscenti non sappiano. Della tua generosità, della tua disponibilità del tuo non esserti mai tirato indietro in nessuna occasione, del tuo smisurato essere amico andando oltre la stessa amicizia che tu trasformavi in un dono che a volte, noi eravamo, anzi, e parlo per me,non ero capace di coglierla nella sua naturale ed unica semplicità. La croce hai portato in questi ultimi giorni di quaresima ieri ha anticipato il tuo calvario, l’hai portata illudendoti, come era nella tua natura, che in qualche modo, con la tua naturale balentia, ne saresti venuto fuori, come le tante altre volte che la malattia ha sfidato il tuo corpo sconfiggendola con una forza di volontà che aveva dell’eroismo. Qualche giorno prima insieme a cena come non fosse successo niente. Parlavamo ridevamo anche se in certi momenti scuotevi la testa ma sorridevi non riuscendo a nascondere tristezza e malinconia sapendo che di quella sera sarebbe rimasto il profumo , un sapore, un ricordo che avrebbe continuato a riscaldare l’anima per ancora tanti e tanti anni. Voglio chiudere questa mia piccola lettera con le parole di un brano che amavi e che nell’ultima esibizione, forse per quel male che non sapevi di avere e che già aveva iniziato ad aggredirti subdolo e nascosto non sei riuscito a cantare. Prendile, ascoltale, adesso in questo posto dove la musica la chiudiamo nel silenzio delle nostre anime. Tutti noi riuniti intorno a te a cantarle, amico, fratello per sempre, tutti in coro, in un solo coro, per te Va', pensiero,sull'ali dorate, Va', ti posa sui clivi,sui colli, ove olezzano tepide e molli l'aure dolci del suolo natal!
Pietro Camillo Ledda...semplicemente Cicci.

venerdì 30 dicembre 2022

 

OLBIA

LACRIME E PAROLE D’AMORE PER FRANCESCO PILU, IL MUSICISTA DAL CUORE BUONO

Michele Pio Ledda, scrittore e poeta di raffinata sensibilità, ha “rovesciato” nei versi colmi d’amore e riconoscenza il grande dolore scaturito dalla scomparsa dello storico interprete e protagonista dei Cordas et Cannas

Lacrime e parole d’amore per Francesco Pilu, il musicista dal cuore buono

Cortesia : Redazione Sardegna Live


IO SO CHE IL VENTO…

“Io so che il vento continuerà a soffiare tra le canne anche quando il nostro respiro si sarà impigliato in uno dei tanti cespugli che ci aspettano nel nostro andare. 

Continueranno a stringerci e unirci quelle corde perché niente possa sciogliere il giuramento che ci unisce e fa di noi una sola gente anzi, un popolo. 

Ci saranno ancora tante bandiere da offrire al cielo ed eroi che le stringeranno forte tra le mani. 

Ci sarà musica dove il silenzio alza la voce ed il vuoto apparente allargarsi per riempirsi di quelli che sono andati via e che pure ritornano sopra le note di una musica che niente può interrompere. La nostra.

 Ci saranno suonatori anche negli angoli più abbandonati dove anche le pietre potranno ballare quando la tua voce le chiamerà a prendere posto nel cerchio infinito delle nostre piazze. 

Ci saranno canzoni che scioglieranno le ombre in un mare di luce, ci sarà sempre il tuo respiro, Francesco, ad alitare sul fango inanimato di questa terra perché prenda vita e diventi seme per far germogliare ancora tra i campi il cibo più prezioso, l’alimento per la nostra fame il nostro essere sardi.

Ci sarai ancora e sempre Francesco perché hai raccolto la lingua perduta dei padri e l’hai donata senza nient’altro chiedere in cambio che la nostra felicità e l’orgoglio di sentirci parte di qualcosa che pareva dimenticato e che invece ogni sera, dai mille palchi che hai fatto risuonare con il tuo passo rinnovava il miracolo del sentirci appartenere a qualcosa di più grande di un singolo individuo. 

Il palco. Il tuo altare dove celebravi ogni volta come il più umile dei sacerdoti quel rito che era insieme canto e preghiera, offerta e comunione con quanti si riconoscevano in quella divinità assoluta che solo la musica celebra ed è celebrata diventando una cosa sola: la Madre che tu hai sempre onorato e che ora ti chiama e ti rivuole a se”.

 

Michele Pio Ledda 

venerdì 16 dicembre 2022

 Ma non finisce qui, il 23 a Cagliari presentazione del lavoro di Alberto Sanna Kalaritana nel quale ho scritto diverse cose, tra queste, oltre ai testi, anche un racconto dedicato ad un periodo molto importante della musica in Sardegna. Da leggere e da ascoltare.



 Dicembre ricco di appuntamenti

1l 20 ad Alghero la presentazione del lavoro di Claudia Crabuzza, Grazia la Madre nel quale ho collaborato traducendo un paio di testi. lavoro sopraffino di grande qualità. Un omaggio alla nostra Grazia Deledda



 E' finalmente è stato stampato Animas de Pedra - S'Incantu, la storia della scoperta della domus di Putifigari. Scritto molto tempo fa ha visto la luce grazie a Nicola Castangia, fotografo, maestro della luce che ha illustrato il racconto con immagini sensazionali. La storia di Sebastiano Porcu, una lezione di vita che si racconta con le mie parole.



mercoledì 22 aprile 2020


L'isola Errante[1]

Anche i lavori alla Torre Centrale erano terminati. Dal suo punto d'osservazione, Ur,  poteva vedere le costruzioni concentriche allungarsi verso la pianura come tanti cerchi  che andavano disperdendosi lentamente nella valle.
Azionò il dispositivo di richiamo, tanti piccoli sibili riempirono la stanza, dopo qualche attimo, divennero voci perfettamente comprensibili.
- Mar, come va da voi?
- Tutto bene Ur, vuoi i controlli?
- No, volevo solo provare il collegamento.
- Ur, tutti i dati sono pronti, quando ti servono chiamali direttamente sul computer.
- D'accordo, penso di farlo più tardi, adesso chiudo.
Disinserì il circuito, fuori, dalla finestra arrivavano decine di voci e di suoni sconosciuti. Li riconosceva automaticamente: anche senza guardare immaginava ghiandaie, colombacci, passeri ed altri volatili, contendersi nel cielo, le rotte migliori e i venti giusti per salire più in alto.
Non aveva bisogno dei binocoli per contarli, ne della macchina fotografiche, dopo tanti anni, i suoi occhi erano diventati binocolo e macchina fotografica, niente poteva sfuggirgli, poteva classificarli uno ad uno senza correre il rischio di sbagliare.
Sorrise mentre pensando queste cose, scorse le sue pubblicazioni, i libri, le riviste di mezzo mondo che per anni si erano contese i suoi servizi e che ora, in bell'ordine sullo scaffale, parevano dei reperti archeologici.
Tutto da rifare, tutto sbagliato, erano passati venticinque anni dal Momento del Distacco, ventiquattro anni da quando aveva preso in mano il comando delle operazioni, pittorescamente denominata,"l'Isola Errante".
Ricordava quei giorni, ogni tanto ci ripensava ed aveva la malinconia dello scienziato che vede il suo tempo finire e la sua scoperta allontanarsi. Venticinque anni prima, seduto nella Range, la voce del suo capo aveva urlato chiamandolo nel canale sette:
- Ur, torna immediatamente alla base!
- Cosa è successo?
- Da quanto manchi dalla Sardegna?
Aveva trasalito sentendo quel nome; lì, nel cuore dell'Africa dove svolgeva il suo lavoro come biologo del Progetto Lion, a sentire quel nome aveva avuto un tuffo al cuore. Due anni di deserto non erano riusciti a cancellare le impressioni e i ricordi della sua permanenza in quell'isola, ventiquattro mesi passati a classificare leoni e gazzelle, di colpo svanivano, era come se mancasse da una vita da quell'isola.
- Perché mi fai questa domanda?
- Rientra al campo Ur, ci sono novità.
Si era lanciato in quelle piste di terra battuta con un brutto presagio...Sardegna...quel nome spingeva sul pedale dell'acceleratore e aumentava i battiti del suo cuore.
Fuori dal campo dove aveva sede il Comitato Internazionale di Ouadagougoo, un funzionario che non aveva mai visto lo aspettava.
- Grazie per essere venuto subito, lei è  Ur, vero?
- Sono io, che succede?
- Si tenga forte dottore, dia uno sguardo a queste schede dell'Istituto Mondiale di Geofisica...Mi viene strano dirlo, ma guardi, sembra proprio che quell'isola...si stia muovendo.
Dentro la sala da pranzo Ur aveva letto e riletto quelle schede, controllato i grafici, fatto analizzare dal computer tutti i dati. Una, dieci, mille volte, senza riuscire a credere a quello che le cifre, i rilievi del satellite e il parere degli scienziati lo sanciva inequivocabilmente: l'isola si era staccata dalla piattaforma continentale e si era messa in movimento.
- E' assolutamente pazzesco!!
- Peggio Ur, è una catastrofe. Secondo i dati del computer, se dovesse proseguire a questo ritmo, l'isola entrerà in collisione con la penisola italiana: sempre che nel frattempo non diventi un mucchio di meteoriti galleggianti.
Ur si era guardato introno. Di colpo, l'Africa era sparita dalla sua testa, dalle sue mani e dal suo sguardo; non sentiva più il caldo anzi, era come se una presa di ghiaccio, lo avesse irrimediabilmente chiuso in una morsa.
- Cosa pensi di fare?
- Parto subito, posso?
- Devi, sapevo che saresti stato d'accordo, l'elicottero ti aspetta, ti porterà fino all'aeroporto.
Dall'aereo che lo portava a Cagliari via Cairo- Palermo, guardava sotto di lui e tutto gli pareva un sogno: neanche l'azzurra distesa del Mediterraneo contribuì a rasserenarlo. Anzi, il mare così limpido, sembrava quasi deridere i pensieri scuri che si agitavano nella sua testa.
Si era ritrovato all'aeroporto di Elmas senza rendersene conto. Dall'alto, nulla faceva capire cosa stava accadendo, tutto sembrava normale, come il giorno che era partito, esattamente ventitré mesi prima.
All'aeroporto visi che conosceva bene, amici, colleghi ed altri sconosciuti, ma tutti con addosso la stessa espressione di stupore e di sgomento.
Sembrava che tutti si aspettassero qualcosa dal suo arrivo, come se Ur, avesse il rimedio o la soluzione. Ma il suo sgomento era tale, che per un attimo gli sembrò di essere un ragazzino al suo primo campo di lavoro. Semplicemente non sapeva né cosa fare ne da che parte sbattere la testa.
Parlava come un'automa, i colleghi lo ascoltavano, leggevano le loro analisi,  le loro tabelle.
- Voglio un rapporto completo, è possibile averlo per stasera?
- I dati sono a tua completa disposizione.
Aveva esaminato, insieme ai colleghi dei vari settori, tutte le risultanze, in particolare le conseguenze che ne erano derivate per la popolazione. Lo spostamento, continuo e impercettibile dell'isola, aveva provocato negli abitanti, nuove e preoccupanti patologie. Scompensi cardiaci, malattie all'apparato respiratorio, disturbi al sistema vascolare, erano aumentati a dismisura. Gli ospedali non erano più in grado di ricoverare nessuno, tutta l'isola era diventata un ospedale da campo ma anche l'Esercito e la Protezione Civile non potevano più di tanto
- Ur, non si riesce a tenere a bada la gente.
Il funzionario della Protezione Civile faceva scorrere i dati nel monitor, Ur li osservava senza commentare.
- Non possiamo creare due milioni di posti letto.
- Già, bisogna sgombrare l'isola.

Venticinque anni prima, davanti a quel monitor ricordava ancora le espressioni che avevano accolto la sua affermazione: il silenzio che era piombato in quella sala d'attesa dell'aeroporto trasformata in sede operativa. Ma gli altri non si erano accorti che era stato lui il primo a stupirsi di quella sua stessa affermazione.
- Ur, ti rendi conto di cosa vuol dire?
- Perfettamente.
- Stiamo parlando di fare evacuare due milioni di persone, due milioni Ur!!! Credi che abbia la bacchetta magica?
- Questi sono fatti tuoi, arrangiati, porta via tutta la gente Walter, se non vuoi vederla cadavere: vuoi le previsioni di mortalità? Leggi.
Nell'attimo di panico silenzioso che  aveva fatto da cornice alle sue parole, Ur aveva avuto tutto il tempo per rendersi conto della situazione. Era stato un po' come il silenzio del suo capanno, da dove, per ore, aspettava l'arrivo dei rapaci, sentiva ugualmente l'odore delle carogne del carnaio e quel silenzio osceno, di chi trattiene il respiro.
Più tardi, nelle strette curve che martoriavano il Sarrabus, incollato alla macchina, aveva sfogato tutta la sua angoscia e la sua impotenza. Cosa avrebbe fatto dopo che tutta la gente sarebbe stata evacuata? Da dove bisognava iniziare, da cosa partire, cosa studiare? Dentro di lui, gli interrogativi si stratificavano, si solidificavano e diventavano impenetrabili. Non aveva nulla del suo passato al quale aggrapparsi e dal quale ricevere il conforto di una risposta. Un antico sentimento di sconforto prendeva il sopravvento, come se qualcuno, di colpo, avesse spazzato via dalla sua testa, tutti i suoi pensieri.
Non riusciva a crederlo eppure, sotto di lui, a qualche chilometro dalle ruote della macchina, quell'enorme scoglio emerso dal mare milioni di anni fa si stava scrollando di dosso il superfluo e andava per i fatti suoi. Come un dinosauro chiuso nei ghiacci per millenni, improvvisamente , aveva ripreso a muoversi e a liberarsi di quel guscio freddo che lo aveva preservato per tanto tempo e protetto dalla furia degli anni.
Aveva fermato istintivamente la macchina, in un punto di quel paesaggio che amava profondamente e lì, tra le rocce del Salto dell'Angelo, tra gli incubi di pietra che riassumevano i vuoti e le erosioni della storia dell'uomo, aveva pianto.

L'esodo era durato quasi un anno. Prima erano stati evacuati i malati, poi, via via, tutti gli altri abitanti. Non mancarono i momenti di panico, quando fu ufficialmente dichiarato lo stato di calamità naturale scoppiò, come prevedibile, la sindrome da esodo, tutti di colpo volevano trovare posto nelle centinaia di unità messe a disposizione dall'Esercito, Marina, Aviazione, ma anche, mezzi della CEE e di tutte le organizzazioni mondiali. Nonostante questo colossale dispiego di navi e aerei, le banchine e gli aeroporti scoppiavano di gente: fu un problema nel problema.
Chi poteva, ricorreva a mezzi propri per lasciare l'isola, ma questo, creava solo altri problemi: a volte, le navi erano costrette a cambiamenti di rotta, per raccogliere i naufraghi delle piccole imbarcazioni che non avevano nessuna possibilità di raggiungere la penisola.
Le città si erano svuotate rapidamente, così i paesi, anche quelli più sperduti. La gente lasciava tutto dietro di sé non portavano via nulla, neanche il cibo per il viaggio. Nei mezzi di trasporto non c'era posto per i bagagli, c'è n'era appena per la gente. Ma il vero problema era dove sistemare i profughi. Nonostante le offerte di alloggio venute da ogni parte d'Italia e dal resto del mondo, i posti erano insufficienti. Gli alberghi venivano requisiti, i villaggi turistici, le Comunità e qualunque cosa somigliasse ad una casa diventava un miraggio. Ma c'era un altro problema: cosa avrebbe fatto adesso, quel popolo strappato alla sua terra? Dove e come avrebbe continuato a vivere secondo le sue regole, le sue tradizioni e la sua storia. Ci sarebbero volute un paio di generazioni per dimenticare una storia millenaria oppure, quel popolo, come quello israelita, avrebbe continuato ad errare nel Mondo?
Troppe domande nella testa di Ur, troppe decisioni da prendere, troppi silenzi,
- Secondo i miei calcoli abbiamo trentasei mesi di tempo per intervenire, dopo, né aerei né navi, potranno attraccare o atterrare su questo suolo.
Il Delegato francese, uno dei pochi tecnici a cui Ur aveva consentito  di restare al Comitato Permanente, aveva portato i suoi rilevi e le spiegava servendosi del grande monitor che era stato approntato nella sede operativa dei comandi, sotto Bruncu Spina.
- Come pensi di iniziare?
- Voglio fare dei rilevamenti alla base della Piattaforma Continentale, dobbiamo conoscere la misura esatta dello spostamento.
- Vuoi vedere i dati riguardanti le principali zone dell'isola? E' molto strano, nella roccia, anche ad alte profondità, non c'è nessun principio di cedimento, niente. Non abbiamo trovato una sola crepa... E' come se tutta la massa dell'isola si spostasse contemporaneamente, come scivolasse sull'olio. Stessa velocità in tutti i punti, stessa massa. Non c'è niente di anomalo nei corsi d'acqua, idem nelle piante e poi, senti questa Ur, sugli animali, tutto ciò, non provoca nessun fenomeno, non lo sentono!!! Solo nell'uomo crea patologie, ci credi?
- Lo avevo notato anche io Jean, ma non ne ero sicuro; lo spostamento è globale. Non produce nessun effetto sull'ambiente; solo le costruzioni nuove o recenti vengono giù tranne, beh, credimi, questo è proprio curioso, nuraghi, domus de janas, capanne in fango e paglia, tempi nuragici.....Non si sono mosse di un millimetro.
- Ur, cosa sta succedendo?
- E' molto semplice Jean, la terra sta scegliendo o forse ha già scelto, i suoi futuri compagni di viaggio
Venti cinque anni dopo, il volto di Jean non aveva perso i bei lineamenti transalpini, le rughe aveva risparmiato il suo volto, ma non rasserenato, la tristezza nervosa di quei giorni che ricordavano insieme, più di una volta.
- Ur, la Sardegna è sicuramente una delle terre più antiche che si conoscono. Tranne il Paleozoico, nella sua  superficie, abbiamo rinvenuto le tracce di tutte le Ere. La Sardegna era un'isola ben definita, già quando la pianura padana era una palude sconfinata. Non abbiamo fenomeni vulcanici, ma tutto intorno a noi è un vulcano spento. Non abbiamo terremoti, maremoti; dal punto di vista geologico è una terra consolidata. Non abbiamo mai riscontrato nessun fenomeno che facesse presagire quello che è accaduto. Ur, stiamo buttando via il lavoro di centinaia di studiosi, anche il nostro.
- Non è vero Jean, questa è invece la conferma dei nostri studi.
- Cosa vuoi dire?
- Jean, siamo davanti ad un fenomeno unico: siamo alla fine del ciclo. Paleozoico, Mesozoico, Cenozoico, Quaternario, non ti sembra che manca qualcosa? L'Archeozoico, esatto. Questa Terra ha completato il suo ciclo, si rimette in movimento, sta partendo da zero. Punto e capo, siamo davanti ad una nuova Era, ad un Nuovo Archeozoico e ad una nuova Evoluzione.
L'Uomo non c'era quando la massa terrestre ha iniziato a solidificarsi. Non c'era ma ha iniziato subito a frugare nei suoi misteri. Ha studiato i suoi passi, ha scavato nella sua memoria di milioni di anni, trovando spiegazioni, supponendole, inventandosele quando neanche l'Uranio 14 era sufficiente per stabilire  una data attendibile.
- Ur, stai parlando della nostra teoria sulla deriva dei continenti!?!?!
- Già, se volevi una conferma, eccoti servito.
-Ma non è logico, non ci sono elementi comuni con le zone che abbiamo studiato, non è logico!!- Perché dovrebbe averne? Chi ti dice che la vera logica sia la nostra? C'è forse una logica nella faglia di S. Andrea, nei vulcani del Pacifico, nelle pietre dell'Himalaya? Non credi che oltre la nostra, ci sia una logica della Terra che non ci è dato di conoscere?
- Ur, vuoi dire che siamo alla resa dei conti?
- No, Jean, voglio dire che il meccanismo non si è mai fermato e che adesso, semplicemente, possiamo sentirlo, studiarlo, subirlo
- Ur, tutto ciò è pazzesco
- No, è solo consequenziale. Vedi, quest'isola, come tu stesso hai detto, ha una sua struttura definita: presenta tutte le caratteristiche delle varie ere. E' come un gigantesco catalogo dove, il Periodo Cambrico convive col Giura, col Silurico, col Pleistocene. E' difficile trovare un altro posto della terra che abbia, in così poco spazio, tutto questo campionario. Siamo seduti su di una mappa geologica che il tempo ha pazientemente disegnato, millennio dopo millennio. Adesso, il Tempo, sta scrivendo una nuova parte, qualcosa che ancora non riusciamo a decifrare e che forse, non avremo neanche il tempo di osservare.
Venticinque anni dopo, nel suo laboratorio, Ur pensava queste cose. Ancora una volta aveva il tempo per ripassare tutto quello che era accaduto nel frattempo. Poteva farlo ed insieme, guardare, tutto quello che era riuscito a costruire...Già, le nuove costruzioni adesso erano state ultimate e la sua idea realizzata appieno.
La sua non era stata solo un'idea geniale ma anche un grande atto di amore verso quella terra e quell'accadimento - questo era servito per dare a lui e ai suoi collaboratori, la possibilità di un riparo e di un punto di riferimento stabile e sicuro:  Ur si era messo a costruire nuraghi.
Se quelle costruzioni resistevano al Movimento, perché non costruirne degli altri? Lui amava i nuraghi, aveva passato mesi a studiarli, a carpirne il segreto architettonico. Mesi passati a S. Sabina, a Losa, S'Aspru, a rovistare tra le grandi e misteriose costruzioni, fino ad assimilare le tecniche, il senso e il segreto di quei pacifici e giganti insediamenti.
Non era stato facile abitarli, renderli confortevoli nel minimo, ma dopo qualche tempo, tutti si erano abituati. Ora, la catena che lui aveva immaginato si era completata, dal suo osservatorio, guardava, compiaciuto le torri. Anche se non riusciva a vederli tutti, lui sapeva che quella catena si inseguiva, perdendosi in tutti i punti nevralgici dell'isola. In poco tempo le informazioni potevano passare sa un punto all'altro, senza che niente potesse interferire nelle comunicazioni, ma, soprattutto, poteva sempre, in caso di bisogno, creare una comunicazione a vista.
Ma in venticinque anni molte altre cose erano cambiate: la Natura aveva preso il sopravvento. Lecci, Tassi, Agrifogli: altre piante un tempo praticamente estinte, avevano ripreso lentamente a crescere. Di fatto, in venticinque anni, alberi, arbusti e malerbe, si erano riprese lo spazio originario.
Dove prima passavano chilometri di strade e di asfalti, che avevano nascosto la terra, ora, non restavano che pochi sassolini scuri raggrumati e già coperti di muschio e licheni ed altri endemismi, ciò che un tempo era minacciato di estinzione, adesso, era diventato il padrone assoluto.
L'isola non aveva più nessun collegamento ufficiale con la penisola: solo gli elicotteri e qualche piccolo aereo attrezzato per le piste corte, poteva ogni tanto atterrare su quel suolo. Le navi ormeggiavano al largo, il fondale, sempre più basso non permetteva di avvicinarsi a terra- sembrava che l'isola volesse fagocitare ogni tentativo di approccio.
 Ma, il vero problema del ritorno dell'uomo non era stato risolto e non poteva essere.
Solo raramente Ur si spostava con la macchina, anche se ormai si era abituato a guidare su sentieri impossibili, si spostava sempre più raramente. A volte usava l'elicottero, ma dopo qualche anno, non  fu più necessario; la soluzione dei nuraghi parlanti si era rivelata molto più efficace del previsto, soprattutto gli permetteva di avere il quadro della situazione, senza spostarsi più di tanto.
I nuraghi erano state una delle sue passioni giovanili. Lì aveva studiati uno per uno, cercando di capire il loro segreto. Aveva certe sue teorie che si era ben guardato di pubblicare in libri o riviste. Amava i nuraghi, la loro natura e origine pacifica. Sicuramente, nella storia dell'umanità, erano state tra le poche costruzioni nate per non offendere, forse solo per dare rifugio ai primi uomini che popolavano l'isola. Li amava, per quel loro esser grandi senza essere invadenti; per il loro fondersi con l'ambiente senza alterarlo. Forse, gli uomini che lo avevano ideato, venivano veramente da un altro pianeta o forse, più semplicemente, erano uomini la cui coscienza e conoscenza era avanti nei secoli, ma tra tutti i parametri, quello del tempo, per una sua filosofia ben precisa, era il meno indicativo.
Quando aveva scoperto il segreto del foro centrale, il passaggio nella Luce, posto alla sommità della costruzione, non aveva esultato o fatto chissà quali dichiarazioni, semplicemente lo aveva accettato e se lo era tenuto per se, senza modificare minimamente la sua vita. Era entrato il contatto con la storia di quel popolo, lui aveva proseguito il loro discorso, come se quel popolo non fosse mai sparito dalla terra, anzi, proprio come se lui fosse, semplicemente, uno di loro.
Lo era veramente.
Era successo dopo la scoperta che aveva deciso di lasciare l'isola, la tentazione di percorrere quel sentiero che aveva scoperto era stata fortissima, non voleva che nessun altro se ne impadronisse. Poi aveva capito, la cosa migliore era chiudere il discorso, non poteva certo comunicare al mondo, che  attraverso quel foro, meglio quella porta, si entrava in contatto con un'altra dimensione...
Lui lo aveva provato sulla sua persona, dopo il primo viaggio, aveva deciso di costruire altri nuraghi, altri passaggi che un domani, dessero a tutti la possibilità di fare il Grande Salto. Ma ancora tutto ciò era prematuro, il segreto doveva restare tale fino a quando altri accadimenti ne avessero giustificato la sua diffusione.
L'Uomo non doveva sparire, doveva semplicemente cambiare stato.
Intanto, l'urto, la collisione col Continente non c'era stata, le previsioni dei computer cambiavano in continuazione. Il Movimento seguiva una sua logica particolare.
L'isola  andava alla deriva ora verso est, ora verso ovest: lo spostamento durava un anno, a volte sei mesi, poi si interrompeva, stallava per qualche tempo e infine riprendeva, seguendo un'altra direzione senza che, con un certo anticipo, fosse possibile prevedere quale.
Nessun computer aveva informazioni sufficienti per elaborare una risposta.
- Ur, sembra che l'isola non abbia le idee molto chiare.
- Forse, ma credo che segua una deriva ben precisa.
- Credi che stia cercando la rotta giusta?
- Si, credo che le stia provando tutte.
- Non scherzare....
- Va bene, la verità è che non ci capisco più niente.
- Mi dispiace, non ti credo.
- Questo non cambia niente, non è a me che devi credere.
I loro discorsi furono interrotti dalle grida di una comunità di Garzette e di Cavalieri   d' Italia che volavano in direzione Sud- Ovest. Guardando il volo entrambi notarono che il loro numero era aumentato considerevolmente dall'ultima volta in cui gli avevano visti passare.
Aumentavano continuamente anche le altre comunità ospiti che tali ormai non potevano più essere considerate, visto che avevano scelto l'isola come dimora fissa. Veramente era stato proprio Ur ad incoraggiare questa situazione.
Qualche anno prima, una coppia di pappagalli, liberati da Ur, si erano riprodotti fino a diventare una comunità rilevante. Allora aveva provato con altre specie e i risultati erano stati inquietanti. Marr aveva segnalato che nelle nuove foreste del Salto di Quirra, una coppia di scimmie aveva avuto un piccolo.
- Ur, hai informato il Comitato?.
- No, e non voglio che lo sappiano: ormai tutti sono convinti che qui, non ci sia più nulla da fare o da vedere, lasciamo che lo credano. Marr, siamo dentro una nuova arca di Noé, ma è meglio non dirlo in giro, ti immagini quanta gente verrebbe a curiosare?
Forse era diventato troppo vecchio, ma lui, considerava quella come la sua isola, non tollerava la presenza di estranei. il modo migliore per tenere la gente alla larga era quello di diffondere notizie poco attendibili o di non diffonderne affatto.
Qualcuno, ogni tanto, cercava di entrare, ma non c'era bisogno di seguirlo o tantomeno di scacciarlo; il malessere e il panico che invadevano il visitatore era tale che era lui stesso a presentarsi spontaneamente ai centri di raccolta.
I magazzini in breve, si erano riempiti di ogni sorta di armi, fucili, pistole, archi, balestre, lacci d'acciaio e ogni altro tipo di trappole infernali si erano ammucchiate nel magazzino - non c'era bisogno di mettere guardie, il meccanismo di autodifesa dell'isola funzionava benissimo automaticamente.
Non erano riusciti a scoprire perché gli animali non risentissero dello spostamento: eppure molti di essi, avevano la stessa fisiologia dell'uomo.. Com'era che lui, Marr, Jean e gli altri, avevano superato questa situazione di malessere?
- Credi che siamo speciali?
-Non credo Marr, abbia organi di senso più o meno uguali, ci riproduciamo nello stesso modo, non basta come spiegazione.
-Non capisco come, animali che sono in grado di percepire terremoti, fasi lunari, basse maree, non sentano questo spostamento.
- E se lo sentissero?
- Come?
- Si, ammettiamo che lo sentano e che non influisca sul loro organismo.
- Vuoi dire che non lo leggono come una situazione di pericolo?
- Esattamente; altrimenti non si spiegherebbe il loro proliferare, guarda qui, lo riconosci?
Ur aveva preso una foto dal mazzo che teneva in mano.
- Hydromantes Genei!!![2]
- Esatto, Geotrione Sardo, estinto di fatto nel 1990, la foto è di due mesi fa, questo è il resto del gruppo, dieci esemplari: che ne dici?
- E' assolutamente pazzesco!!!
- No Marr, è semplicemente meraviglioso, guarda queste.
Ur, faceva scorrere sotto gli occhi esterrefatti di Marr una sequenza eccezionale di immagini, di  colpo apparvero Aquile Reali, del Bonelli, Falchi Pellegrini, Grifoni, Gipeti, Foche Monache, Cervi, Daini ed altre specie animali, un tempo estinte. Animali che la scienza ufficiale poteva solo studiare nei filmati d'epoca o nelle immagini virtuali dei computer e che invece erano ad un passo da loro in un mondo Animale e Vegetale che esplodeva in una vitalità  che nessuno ancora sapeva e che, secondo Ur, nessuno doveva sapere.
- Sono lì fuori Marr, capisci? Non si nascondono, non hanno paura, capisci cosa voglio dire?
Marr guardava il suo amico. Gli occhi lucidi, cerchiati di lacrime, avevano la forza terrificante di chi ha visto quella terra prima sparire e ora riprendersi. Marr guardava i suoi capelli biondi velati di bianco. Le labbra asciugate dal vento e dal sole di tutti i giorni passati a camminare su ogni tipo di piste e ogni tipo di condizione come se, tutta l'acqua del mondo adesso si fosse asciugata su quelle labbra e avesse lasciato solo, un leggerissimo velo bianco.
Era invecchiato lentamente, come se il Tempo avesse voluto risparmiare i suoi lineamenti e far durare a lungo, il suo sogno.
- Allora siamo su di Arca?
- Praticamente, solo che non sappiamo, quando ci sarà il Diluvio.
- Pensi che ci sarà?
- Credo proprio di sì, queste sono solo le prime gocce.
Aveva rimesso a posto le foto, non doveva vederle nessuno: anzi, si chiedeva: era stato proprio necessario farle? Se fossero entrate in mano del Comitato, avrebbero voluto saperne di più, avrebbero voluto vedere, indagare, verificare... Meglio lasciar perdere, tutti dovevano credere che in quell'isola, non c'era più nulla da vedere.
Dovevano convincersi che tutto andava bene, che era tutto ok.
Intanto, nell'opinione pubblica mondiale, l'interesse era via via scemato. L'impatto non c'era stato e questo aveva fatto dimenticare le altre emergenze. Di fatto non era possibile creare nell'isola altri insediamenti umani, così l'isola era nelle mani di Ur.
L'ultimo imperatore di un regno fantasma.
Sorrise.
Dalla sommità della Torre Centrale, nella terrazza ricavata nella pietra, era come se i 23.813 km quadrati dell'isola ruotassero intorno a lui. La linea delle Barbagie si stagliava nel verde dei boschi e sull'azzurro del cielo. Sembrava tutto finto ed irreale. I suoni della Natura si sovrapponevano ai suoi pensieri, si sentiva soffocare come se milioni di foglie si decomponessero nella sua testa.
- Marr, inizio anche io a sentirmi un estraneo, mi sembra che non ci sia più posto per l'uomo. Abbiamo sbagliato troppe volte nei confronti della terra ora non possiamo più tornare indietro. anche la nostra presenza è superflua, mi spighi cosa continuiamo a fare qui.
Passeggiava  nel terrazzo, non sentiva la presenza di Marr, né delle altre forme di vita che vociavano intorno a lui. Sentiva solo un vuoto enorme crescere nel suo cuore.
Come davanti a un baratro, la sua memoria elaborava una via di fuga, una risposta che mettesse a tacere quelle sensazioni. Si sentiva solo, probabilmente come solo non si era mai sentito neanche l'uomo apparso per la prima volta sulla terra, cinquemila anni fa. Cosa aveva pensato, provato e deciso, il primo giorno in cui era riuscito a tirare su la schiena e a camminare eretto?
Intorno a lui, le tracce del passaggio erano sparite, così come erano spariti i centri abitati. Solo boschi distese verdi che si perdevano nella linea dei monti e nella nebbia sottile dell'orizzonte.
Davanti a lui, come in un film, scorrevano le immagini di un sogno, aveva ancora il diritto di guardare o era lui stesso un intruso?
Dove erano finite le città, i paesi e quel popolo misterioso, duro e silenzioso come i suoi riti quotidiani?
- Siamo superflui Marr, perfettamente superflui.
Il cielo si tingeva delle luci del tramonto, guardava il sole, lasciando che il disco rosso che svaniva, dilaniasse i suoi occhi e i suoi cinquantasei anni.
Intorno non c'era nessuna traccia d'uomo, niente che lo ricordasse o reclamasse la sua presenza. C'era solo un muro verde che inghiottiva tutto. I richiami degli animali, i loro strilli, i loro suoni, erano un alfabeto sconosciuto che non avrebbero mai imparato. Animali che vivevano, si amavano e si riproducevano ignari di quanto stava accadendo.
L'evoluzione era come un puzzle i cui tasselli combaciavano e davano origine a nuove forme e nuove figure, perché i suoi non si trovavano? Perché non riusciva a mettere insieme i pezzi della sua vita?
Si sentiva solo come il comandante di una nave che cercava la rotta migliore e un approdo veloce, ma lui, la voleva veramente trovare?
Davanti a lui, il sogno dell'Umanità era crollato miseramente; non era stato necessario arrivare agli scontri nucleari per mettere in pericolo il genere umano, era bastato meno, molto meno. Venticinque anni di ulteriore benessere economico e di progresso scientifico  erano stati sufficienti a spazzare via tutto.
Da quel fragile guscio d'uovo dell'atmosfera, il serpente della fine era balzato fuori rapidamente. L'isola era stato solo il primo passo, il resto doveva ancora succedere e lui era sicuro che quel fenomeno, prima o poi, si sarebbe esteso anche gli altri continenti. La terra che un tempo si era aperta per dare vita all'Africa, all'Europa, all'Asia e alle Americeh ora si richiudeva, ritornava al principio.
Città spopolate, palazzi caduti, ovunque trionfava il lichene e il muschio e gli altri endemismi che frantumavano la consistenza del cemento armato e degli altri simboli della presunta immortalità dell'uomo del ventesimo secolo. Altri esseri si erano rinforzati parallelamente all'indebolirsi dell'uomo e a lui si sostituivano, inesorabilmente.
Città regni di gatti, cani e topi: paesi inghiottiti da radici secolari che a forza, si aprivano un varco nell'asfalto, nel marmo e nelle resine sintetiche, tutto ciò che un tempo erano rifugi umani ora, diventavano la dimora perfetta per gli animali.
Dove era finito quel popolo di pastori erranti, musicisti e poeti? Stipati nelle stive delle navi, aggrappati alle poltrone degli aerei, avevano trovato asilo in un mondo che ormai non apparteneva più a nessuno.
Era crudele e dolce insieme ma lui non aveva voglia di stabilire quale fosse il termine migliore per definire quella sensazione che provava.
Ritornò nella stanza, il giorno volgeva a termine, Marr si era addormentato nella sedia e lui non aveva nessuna intenzione di svegliarlo.
Raccolse le foto e le rimise nel cassetto.
Improvvisamente aveva capito che il suo compito era terminato e che la sua presenza, come quella degli altri uomini, era perfettamente inutile.
Sorrise. Poteva essere soddisfatto, ma in fondo era solo felice e per la prima volta dava al termine felicità, un senso compiuto.
Dal foro centrale del nuraghe, penetrava un fascio di luce che disegnava nel centro della stanza un piccolo cerchio. Guardandolo  a lungo, sentiva che il momento era arrivato. Guardò nella direzione di Marr, sorrise "presto lo scoprirai anche tu", pensò ad alta voce.
Poi  si mise a sedere sotto la luce.
Non sapeva bene cosa avrebbe trovato dopo il Grande Salto, ma qualunque cosa fosse, lui era pronto ad accettarla, amarla e farla sua, questa era la sola regola per potervi accedere, gli altri, Marr, quelli del Comitato e il resto degli uomini, lo avrebbero saputo e scoperto, solo se avessero avuto nel cuore questa chiave d'accesso.
Il disco si allargava: mano a mano che il buio avvolgeva la stanza, la luminosità del cerchio aumentava,  sentiva il suo corpo sciogliersi dentro quella luce; sentiva il suo sangue, la sua carne, sbriciolarsi e cavalcare quelle frequenze ottiche, e diventare leggero, come il pulviscolo che la luce ingigantiva e rendeva visibile.
Pensava questo mentre chiudeva gli occhi e il suo corpo perdeva consistenza diventando tutt'uno con la luce che di colpo spariva, lasciando, completamente buia la stanza.




[1] Anche se la scienza ufficiale riconosce alla Sardegna una invidiabile solidità geologica che la rende immune da terremoti ho voluto superare questo principio raccontano qualcosa di assolutamente immaginario, in realtà la Sardegna è una terra antichissima e quanto accade nel racconto non potrebbe accadere, ma chi può dirlo?
[2] Nome scientifico del "Geotrione Sardo", un piccolo rettile che si trova solo in Sardegna. E' uno dei più misteriosi animali che si possano trovare nel bacino mediterraneo. Si tratta di un anfibio dell'ordine degli Urodeli che vive nel freddo delle profondità delle grotte. Lo si considera ormai estinto.

venerdì 6 dicembre 2019



Già dal titolo e  dalla copertina questo lavoro di Gianfranco ti porta con se in mondo garbato e gentile senza rinunciare a un pizzico di ironia che non si autocompiace ma ti tiene sul filo dell'emozione con una musica elegante ma decisa e parole profonde che raccontano storie e frammenti di vita senza mai scadere nel banale di cui molte canzoni sono drammaticamente piene. 


Un lavoro equilibrato, già dal primo splendido brano Bell'uomo giocato su suoni di grande livello  come negli altri a seguire, dove le collaborazioni con musicisti di qualità e di spessore rendono ogni brano piccole gemme che brillano. Un album - è bello chiamarlo album come si faceva un tempo - che è carezza ma anche graffio, passione ma anche sdegno nella notevole La bella Addormentata) dove racconta la sua terra con il dolore e la dolcezza che solo chi ama sa fare ed esprimere e negli altri dove Gianfranco affida ad ogni brano il compito di raccontare sia il privato che il pubblico senza mai cadere nell'autocommiserazione, senza lasciarsi andare a facili proclami e dove parole e musica si fondono e si rafforzano a vicenda e dove tutte le influenze e il vissuto musicale si fonde e crea un suono credibile come in brani intimi e circolari come Oltre il vetro e Another Day e la Canzone diventa matura e senza tempo e brilla di luce propria.


Si sente la mano fatata di Marcello Peghin dove le corde delle sue chitarre annodano tappeti preziosi di suoni vedi La misura delle mie distanze, l'assolo è notevole e sofferto (in tutti i sensi!),  il contrabbasso di Salvatore Maltana che batte il tempo come un cuore segnandone lo scorrere, il clarinetto di Paolo Carta Maltiglia che curva l'aria e tutt'intorno i passi delle percussioni di Paolo Zuddas,  le share drums di Roberto Polo e il cajon di Gabriele Peghin ad accompagnare la voce sempre suadente di Gianfranco.


Un gran bel lavoro che merita di essere ascoltato, che sa catturare l'attenzione senza mai essere invadente. Splendida la confezione, i disegni di Cinico Sechi e la grafica minimale ma essenziale di Manuela Spiaggia e Roberto Randine, proprio una bella storia. Regalatelo e regalateveLo.  M.P.L. 

Amico mio Come farò a scrivere le prossime parole sapendo che non le ascolterai con le orecchie il cuore e l’anima con cui nelle mille sere...